Scatti & Backstage

Oggi la giornata comincia lentamente, molto lentamente.

So che ho davanti la tappa più breve di tutte, solo 40km quindi so di poter fare tutto con assoluta calma. Sveglia alle 8, colazione a fianco della finestra con il tiepido sole che entra dalle tende della sala colazioni dell’hotel; mi sono persino messo a sfogliare un giornale austriaco sorseggiando il cappuccino. Ho deciso che leggere i giornali senza capirne una singola parola è il modo migliore per farlo.

Mi sono preso la mattinata per visitare Villach: tra le varie cose ho visto una chiesa evangelica mi ha colpito particolarmente per un dettaglio (non so se sia un’eccezione o uno standard per chiese di questo tipo). Nella navata di destra, appena a fianco dei banchi, c’era un bar con relativi tavolini e a fianco dell’altare una zona bimbi; all’ingresso un cartello invita chiunque ad eventi con cibo e bevande gratis. Inizialmente mi è sembrata quasi un’assurdità ma, pensandoci un po’ meglio, immagino che non sia una cosa del tutto sbagliata anche se forse un po’ estrema, comunità significa anche momenti di convivialità.

Rimanendo nell’ambito delle chiese sono salito sul campanile della chiesa principale di Villach: un modo per apprezzare il panorama dall’alto, la strada già fatta e quella ancora da fare. Sempre nella stessa chiesa mi sono fermato un buon quarto d’ora ad ascoltare le prove per un concerto d’organo che si sarebbe tenuto in serata: mi ha colpito notare come il suono dell’organo mi ha contemporaneamente fatto sentire a casa e sia sembrato qualcosa di totalmente nuovo. 

Pur avendo solo 40km da fare prima o poi bisognerà pur cominciare a pedalare, quindi eccomi di nuovo in sella. Dopo pochi km il percorso gira a destra e lascia il corso della Drava. Quando, controllando la mappa, mi sono accorto che non l’avrei più rivista ho deciso di tornare indietro di qualche centinaio di metri per darle un ultimo sguardo: scrivendolo adesso mi sembra un comportamento quasi da demente, ma lì, sul momento, mi sembrava giusto farlo, così come si saluta un compagno di viaggio con cui si ha condiviso un pezzo di strada.

A proposito di compagni di strada: oltre ai fiumi sono state le valli ad essere gli elementi caratterizzanti del viaggio fino ad ora. E’ capitato davvero tante volte di guardare l’orizzonte e vedere delle montagne lontane avvicinarsi sempre di più. Quelle montagne sono diventate sempre più grandi e più vicine ad ogni pedalata fino a quando, ad un certo punto e come per magia, non si sono più trovate davanti, ma dietro: un’altra valle è passata sotto alle ruote, una nuova si presenta davanti. E’ quello che è capitato anche oggi, salendo leggermente da Villach verso il confine tra Austria e Italia. Quando ci sono arrivato la scena è stata un po’ meno epica del previsto: alla dogana c’erano solo due ragazzi tedeschi e un cartello che indica il confine. E’ stata la prima volta che ho passato un confine nazionale su due ruote: mi aspettavo quantomeno la finanza pronta a controllare la mia borraccia per un eventuale doppio fondo o il ministro degli esteri per congratularsi ma immagino fosse impegnato da qualche altra parte.

Da quel momento in poi si è in Italia a tutti gli effetti: a lato della ciclabile i cartelli iniziano un conto alla rovescia dei kilometri al il traguardo: si parte da 164 o giù di lì. Dopo poco si arriva a Tarvisio: considerata la tappa particolarmente breve ne approfitto per crogiolarmi al sole sotto alla statua del granatiere austriaco a Boscoverde e per fare una passeggiata di un paio di una ventina di minuti per andare a visitare gli orridi dello Stizza: un sentiero ripido porta a costeggiare una gola piuttosto stretta e alta nel quale l’acqua ha scavato alcuni anfratti suggestivi.

La serata a Tarvisio è passata alla ricerca di qualcosa da mangiare: non ho ben capito perché, ma trovare un posto a sedere per mangiare a Tarvisio più difficile che trovare l’acqua nel deserto, così finisce che mi trovo a mangiare una pizza d’asporto sul letto dell'hotel. Bello anche così: un momento che quelli giovani definirebbero “di sciallezza” (o forse sono i giovani di una volta a definirlo così).

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