Era da un po’ che avevo in mente di fare una vacanza in bicicletta, mi intrigava l’idea di vedere un po’ di posti nuovi su due ruote: mi sono reso conto che i momenti che apprezzo di più in bicicletta sono quelli in cui non so esattamente dove mi trovo di conseguenza l’idea di fare 6 giorni su strade completamente sconosciute mi ha attirato a tal punto da vincere la mia innata inerzia relativa a tutte le cose nuove. Dopo tante ricerche ho deciso di percorrere la ciclovia Alpe Adria, un percorso che collega Salisburgo a Grado e che si snoda principalmente su strade secondarie, strade bianche e ciclabili varie unendo panorami di tanti tipi diversi. Città, montagna, pianure, montagna e mare. Nei prossimi paragrafi provo a parlare un po' di questa avventura.
Dopo una domenica passata su e giù dai treni per raggiungere Salisburgo da Bergamo con bici al seguito il primo giorno è iniziato con il rumore della pioggia che batte sui vetri. Non esattamente un toccasana per l’umore ma nulla che non si può curare con una colazione da 1500 calorie e qualche previsione meteo che offre buone speranze per il pomeriggio. Così tra la brioche e il cappuccino, con il succo d’arancia con pane e nutella e lo yogurt che mi guardano, decido che la mattina la dedico alla visita di Salisburgo, posticipando la partenza al pomeriggio.
E’ stata una scelta vincente da vari punti di vista, il primo relativo al fatto che probabilmente, senza la pioggia, la voglia di iniziare a pedalare sarebbe stata così tanta che mi sarei perso la bellezza di Salisburgo, anche con le nuvole e le pozzanghere.
Non mi illudo di aver visitato una città in un paio d’ore, ma sicuramente quei momenti che ho passato tra le vie di Salzburg, tra viuzze strette e viste sul fiume sono stati un ottimo modo per cominciare questa avventura. A colpirmi particolarmente è stato il giardino della castello di Mirabell: per un attimo mi è sembrato di tornare indietro nel tempo di qualche mese ed essere ancora a Vienna… Non c’è niente da fare, quando si parla di realizzare giardini gli austriaci sanno davvero il fatto loro.
Di Salisburgo ricorderò anche un’altra cosa: “Fields of Gold” suonato da una ragazza davanti al Duomo su uno strumento a corde che non avevo mai visto, ma che probabilmente dev’essere caduto direttamente dal paradiso durante un temporale.
Durante la mattinata ho avuto anche due lampi di genio: il primo è stato quello di acquistare uno spray impermeabilizzante per le scarpe. Guardando indietro a quel momento e con la consapevolezza di cosa è successo nei giorni successivi, direi proprio che il mio sesto senso ha colpito come meglio non poteva. Il secondo lampo di genio è stato quello di fingere una telefonata per abbandonare un bar presso il quale, dopo aver chiesto un tè, la lista che mi è stata portata indicava che quello più economico costava 7€. Sono fiero di me!
Parlavo di scelte vincenti: attendere di iniziare a pedalare in tarda mattinata è stata una di quelle visto che, effettivamente, alle 12:00, con le campane del Duomo che suonavano e il sole che iniziava ad affacciarsi ho dato il primo colpo ufficiale di pedale in Mozartplatz.
La prima tappa è stata una piacevolissima sorpresa, non solo perché il meteo si è rivelato molto più collaborativo del previsto (c'è stato il sole!) ma anche perché è stato il primo contatto con i kilometri che mi aspettavano e dai quali non sapevo esattamente cosa aspettarmi. Tanta strada su ciclabili su sede propria o con talmente poco traffico che avrei potuto sdraiarmi a riposare sull’asfalto senza preoccuparmi di essere investito. Per tutto il primo tratto il percorso ha seguito il fiume che attraversa Salisburgo, il Salzach, offrendomi subito uno dei temi di questo viaggio: i fiumi. Qualche su e giù da alcune collinette per guadagnare qualche vista dall’alto fino a raggiungere l’unica vera salitella della giornata che anticipa una discesa in una valle abbastanza stretta ma molto bella grazie alle montagne piuttosto alte che la abbracciano.
Qui si pedala (o meglio, vista la discesa, si lascia correre la bici) su una strada piuttosto trafficata, ma ci si sente comunque molto sicuri: a fianco delle corsie per le auto, segnalata con una riga ben visibile, ci sono almeno due metri dedicati interamente ai ciclisti per ciascun senso di marcia. Dopo qualche kilometro di salita si sale leggermente e la visione di un castello che inizialmente era solo un piccolo puntino diventa sempre più nitida e imponente sulla cima di una collina. E’ il castello di Honenwerfen. Se non avessi speso la mattina a Salisburgo, senza dubbio sarei salito a visitarlo.
Ancora qualche pedalata e arrivo alla destinazione finale di oggi: Sankt Johann im Pongau. Qui una piacevole sorpresa: senza rendermene conto, applicando il mio set classico di filtri “decente ma spendendo poco” su Booking, sono misteriosamente finito in un hotel a 4 stelle. Dopo aver controllato due volte la prenotazione fuori dall'ingresso mi convinco di aver avuto quella che tecnicamente si chiama “botta di culo”.
Il secondo giorno è partito sulla falsariga del primo: il ticchettio della pioggia è stata la mia sveglia. Altra colazione abbondante e girettino a piedi per il paese e con l’ombrello in mano, con la speranza che il pomeriggio migliori la situazione meteo.
Sankt Johann im Pongau mi ha dato un po’ l’impressione di essere un grande parco giochi per gente con i soldi (o che millanta di averli con le storie su Instagram). Escludendo negozi di tutti i tipi e centri commerciali per tutte le tasche non ho visto nient’altro: un buon motivo per tornare nella hall dell’albergo e leggere un po’ (anche se ammetto che vedere delle vere cartolerie, non solo qui ma in tutta l'Austria, mi ha fatto venire voglia di spendere 6000€ in penne, inchiostri e taccuini)
Purtroppo la fortuna del primo giorno non mi ha assistito nel secondo: non ho avuto alternative se non quella di partire sotto una leggera pioggerellina che mi ha accompagnato per circa tre quarti d’ora prima di smettere. Nonostante questo mi sono comunque goduto alcune viste davvero belle su alcune vallate e sul verde dell’Austria. Credo che una delle cose che mi è rimasta più impressa dell’Austria sia proprio il verde dei suoi prati: ampi, numerosi e curatissimi (non ho ancora ben capito per cosa vengano utilizzati). Non ho potuto fare a meno di chiedermi, considerata la sua bellezza con la pioggia, come sarebbe stato questo tratto di percorso con il beltempo. Ma chi lo sa, magari c’è anche qualcuno che percorrendo le stesse strade si è detto “mi sarebbe proprio piaciuto vedere questi prati con la pioggia”, quindi non escludo che sono sia stato fortunato senza accorgermene.
Avere incrociato dei tedeschi in maglietta a maniche corte e pantaloncini pedalare nella direzione opposta alla mia mentre io ero con pantaloni antipioggia e mantellina ha iniziato a farmi dubitare del mio outfit e darmi un po’ di speranza rispetto al meteo che avrei trovato più avanti quindi: rapido cambio e ripartenza.
Altra discesa per arrivare a fondovalle e qualche km in una galleria stradale: anche in questo caso è impossibile non sentirsi perfettamente al sicuro. La ciclabile è sopraelevata rispetto alla strada, con un asfalto su cui si può giocare a biglie e le gallerie sono illuminate a giorno.
Un’altra cosa che mi ha sorpreso dell’Austria è come le zone rurali e quelle cittadine/industriali sono vicine. Paesaggi che, nei luoghi che conosco, distano almeno un’ora di auto in Austria si trovano a 10 minuti in bici: dagli alpeggi ai supermercati in poche pedalate, sembra di viaggiare nel tempo più che nello spazio.
In questa zona sono passato in un paesino, di cui non ricordo il nome, con una caratteristica che mi ha sorpreso: a fianco della chiesa principale c’è un cimitero (e fino a qui nulla di strano), ma il cimitero è protetto solo da un muro alto solo un metro. Stando così le cose, andando a prendere il pane e il latte o semplicemente passeggiando per il centro è impossibile non vedere tutte le tombe. Ho trovato questa soluzione architettonica curiosa ed interessante, un tentativo di non nascondere l'inevitabile dietro un muro di cinta alto tre metri come, di solito, sono da noi i cimiteri.
Si parte ancora, direzione Bad Gastein: località termale che è il punto più alto dell’intero percorso (1100m). Ciò implica che oggi si affronti l’unica vera salita dell’intero percorso. Circa 5 km di salita più o meno dura, con alcuni tratti, soprattutto in centro paese, dove le pendenze sono all'incirca quelle della rampa di un garage. In centro al paese c’è una cascata molto scenografica, forse resa ancora più scenografica dal fatto che la vedo mentre sta (di nuovo) piovendo, anche in maniera abbastanza copiosa. Va beh, ho imparato che dopo un po’ che si prende pioggia subentra una specie di senso di rassegnazione. Quando si è bagnati poi bagnarsi ulteriormente non preoccupa poi più di tanto.
Arrivo a destinazione: doccia, pasto post-pedalata e sviluppo un po’ di soluzioni creative con il phon per cercare di asciugare l’asciugabile; il MacGyver che c'è in me è felice di aver avuto i suoi 5 minuti di gloria.
Questo è anche il momento in cui mi ringrazio per aver pensato di portare dei pantaloni lunghi e caldi e una felpa pesante. Già, perché ora sposto la tenda e guardo fuori dal balcone: sulle cime, qualche centinaio di metri più in alto di me vedo la neve... Sta nevicando. Adesso. A Luglio. Domani, al mio risveglio, il termometro segnerà 6 gradi: le app meteo ipotizzano una temperatura percepita di 4, non male!
Per cena decido di andare in un locale tipico della zona e di mangiare qualcosa di caratteristico. Opto per un piatto di crauti sul quale viene appoggiato un arrosto di maiale con centro due grossi simil-canederli. Ero sicuro che avrei finito di digerire un piatto del genere a Natale del 2035 (da qui la scelta, inusuale per il sottoscritto, di chiudere la cena con uno Jagermeister) ma la verità è stata che non solo ho trovato il piatto particolarmente buono, ma anche sorprendentemente privo di effetti collaterali.
La giornata comincia con una visita a Bad Gastein. Ieri con il freddo e il maltempo la voglia di uscire per visitare il paese non era molta ma oggi mi sembra un vero peccato ripartire senza vedere cosa ha da offrire il paese che mi ha ospitato per la notte.
Bad Gastein è difficile da descrivere: mi ricorda un po’ Saint Moritz per la quantità e la dimensione degli hotel di lusso, mi ricorda un po’ San Pellegrino per il tema ricorrente delle terme e non so perché mi ricorda anche un po’ Sanremo, forse per quel mood un po’ ‘elegante e retrò’. Mi ha fatto piacere dare una sbirciata in giro, anche se per pochi minuti.
Già perché poi oggi la giornata è definita da due dettagli: il primo è che devo prendere un treno (per attraversare il Tauernschleuse) e il secondo è che oggi sono previsti 90km quindi so che, se voglio un po’ godermi la pedalata, non posso permettermi di perdere troppo tempo di prima mattina.
Dopo qualche kilometro di leggera salita nella zona che, più di tutte le altre che ho visto in questo viaggio, ha il sapore dell'alta montagna (mi sembrava di essere a Carona), raggiungo la stazione di Bockstein dove mi attende il treno che, dopo aver percorso un tunnel in circa 10 minuti, mi porta a Mallnitz dove incomincia la mia discesa.
Qualcuno bravo a scrivere di fantascienza potrebbe parlare di questo tunnel come una specie di wormhole che porta in un universo parallelo: già perché mentre a Bockstein il cielo era grigio e le montagne scure, a Mallnitz il sole ha accolto lo sferragliare del treno e una vallata ampia e luminosa offre l’impressione che in ogni momento, da dietro un albero, potessero apparire Heidi, Peter e tutte le famigerate caprette che fanno “ciao”.
Con il senno di poi posso dire senza ombra di dubbio che stava per iniziare il tratto più bello dell’intera ciclabile: se in paradiso ci sono le biciclette non dev’essere molto diverso da così. Una lunga discesa parte da Mallnitz e perde pendenza mano a mano ci si avvicina al fondovalle. Vedo tutto intorno a me panorami magnifici: sembra di pedalare dentro ad una cartolina a tal punto che devo forzarmi a non fermarmi a scattare fotografie ogni cento metri. Il rischio è di non arrivare più a destinazione.
Dopo aver passato Spittal an der Drau inizio a sentire un languorino e decido che è ora di fermarsi a mangiare e a riposare un po’. La ciclabile attraversa una serie di piccoli paesini: in uno, da lontano, vedo una piccola chiesa bianca che già da lontano attira la mia attenzione. Decido di fermarmi a fianco della chiesa con vista sulle montagne e fiori tutt'intorno: un vecchio tavolo di legno e ferro battuto sembra il posto perfetto per mangiare; l’albero davanti all’ingresso in mezzo ad un prato con l’erba tagliata da poco il posto perfetto per riposare un po’. Un momento davvero piacevole: uno di quelli che ricarica non solo il corpo ma anche l’anima.
Si riparte ed ora a fare compagnia per parecchi kilometri (sarà la compagna di viaggio fino a domani) è la Drava, un fiume lento e pacifico che trasmette un senso di grande tranquillità: mi sono fermato più volte sugli argini per ammirarlo ed ascoltarlo.
Meta finale di oggi è la città di Villach: tra quelle che ho visitato senza dubbio quella più vivace. In serata, dopo cena, mi imbatto persino in uno spettacolo di luci, musica e fontane sul fiume: dubito sia così, ma mi piace pensare che fosse parte di una specie di ‘evento di benvenuto’ per il sottoscritto 😀
Oggi la giornata comincia lentamente, molto lentamente.
So che ho davanti la tappa più breve di tutte, solo 40km quindi so di poter fare tutto con assoluta calma. Sveglia alle 8, colazione a fianco della finestra con il tiepido sole che entra dalle tende della sala colazioni dell’hotel; mi sono persino messo a sfogliare un giornale austriaco sorseggiando il cappuccino. Ho deciso che leggere i giornali senza capirne una singola parola è il modo migliore per farlo.
Mi sono preso la mattinata per visitare Villach: tra le varie cose ho visto una chiesa evangelica mi ha colpito particolarmente per un dettaglio (non so se sia un’eccezione o uno standard per chiese di questo tipo). Nella navata di destra, appena a fianco dei banchi, c’era un bar con relativi tavolini e a fianco dell’altare una zona bimbi; all’ingresso un cartello invita chiunque ad eventi con cibo e bevande gratis. Inizialmente mi è sembrata quasi un’assurdità ma, pensandoci un po’ meglio, immagino che non sia una cosa del tutto sbagliata anche se forse un po’ estrema, comunità significa anche momenti di convivialità.
Rimanendo nell’ambito delle chiese sono salito sul campanile della chiesa principale di Villach: un modo per apprezzare il panorama dall’alto, la strada già fatta e quella ancora da fare. Sempre nella stessa chiesa mi sono fermato un buon quarto d’ora ad ascoltare le prove per un concerto d’organo che si sarebbe tenuto in serata: mi ha colpito notare come il suono dell’organo mi ha contemporaneamente fatto sentire a casa e sia sembrato qualcosa di totalmente nuovo.
Pur avendo solo 40km da fare prima o poi bisognerà pur cominciare a pedalare, quindi eccomi di nuovo in sella. Dopo pochi km il percorso gira a destra e lascia il corso della Drava. Quando, controllando la mappa, mi sono accorto che non l’avrei più rivista ho deciso di tornare indietro di qualche centinaio di metri per darle un ultimo sguardo: scrivendolo adesso mi sembra un comportamento quasi da demente, ma lì, sul momento, mi sembrava giusto farlo, così come si saluta un compagno di viaggio con cui si ha condiviso un pezzo di strada.
A proposito di compagni di strada: oltre ai fiumi sono state le valli ad essere gli elementi caratterizzanti del viaggio fino ad ora. E’ capitato davvero tante volte di guardare l’orizzonte e vedere delle montagne lontane avvicinarsi sempre di più. Quelle montagne sono diventate sempre più grandi e più vicine ad ogni pedalata fino a quando, ad un certo punto e come per magia, non si sono più trovate davanti, ma dietro: un’altra valle è passata sotto alle ruote, una nuova si presenta davanti. E’ quello che è capitato anche oggi, salendo leggermente da Villach verso il confine tra Austria e Italia. Quando ci sono arrivato la scena è stata un po’ meno epica del previsto: alla dogana c’erano solo due ragazzi tedeschi e un cartello che indica il confine. E’ stata la prima volta che ho passato un confine nazionale su due ruote: mi aspettavo quantomeno la finanza pronta a controllare la mia borraccia per un eventuale doppio fondo o il ministro degli esteri per congratularsi ma immagino fosse impegnato da qualche altra parte.
Da quel momento in poi si è in Italia a tutti gli effetti: a lato della ciclabile i cartelli iniziano un conto alla rovescia dei kilometri al il traguardo: si parte da 164 o giù di lì. Dopo poco si arriva a Tarvisio: considerata la tappa particolarmente breve ne approfitto per crogiolarmi al sole sotto alla statua del granatiere austriaco a Boscoverde e per fare una passeggiata di un paio di una ventina di minuti per andare a visitare gli orridi dello Stizza: un sentiero ripido porta a costeggiare una gola piuttosto stretta e alta nel quale l’acqua ha scavato alcuni anfratti suggestivi.
La serata a Tarvisio è passata alla ricerca di qualcosa da mangiare: non ho ben capito perché, ma trovare un posto a sedere per mangiare a Tarvisio più difficile che trovare l’acqua nel deserto, così finisce che mi trovo a mangiare una pizza d’asporto sul letto dell'hotel. Bello anche così: un momento che quelli giovani definirebbero “di sciallezza” (o forse sono i giovani di una volta a definirlo così).
Dopo il giorno con la tappa più corta arriva quello con la tappa più lunga: sulla carta sono programmati 110km.
Partenza quindi verso le 8:30, qualche nuvola in cielo ma nulla di minaccioso. La prima metà della tappa di oggi (fino a Venzone) scorre in luoghi che, seppur nuovi, appaiono molto familiari. La ciclabile segue il percorso di una ex ferrovia quindi da Tarvisio si scende con le montagne a destra e a sinistra, tra gallerie, ponti, vecchie stazioni e fiumi di un azzurro che non avevo mai visto. Colore dell’acqua a parte, se non ci fossero stati i cartelli con i nomi dei paesi avreste potuto convincermi di essere sulla ciclabile della Valle Brembana.
La prima metà della tappa si è conclusa a Venzone, dove mi sono fermato per il pranzo e una visita. Venzone è un piccolo borgo circondato dalle mura, con alcune viuzze carine: classico pavimento lastricato, palazzi vecchi, fiori alle finestre. Ma la cosa che resta di più di questa città sono le sue ferite. Visitando la chiesa ho visto che un’intera parete laterale è ricoperta di piccoli frammenti di quello che una volta era, evidentemente, un grande affresco. Non capendone la logica sono andato a leggere la storia e ho scoperto che la chiesa è stata quasi interamente distrutta nel terremoto del 1976 e ricostruita sasso per sasso dopo un lavoro di catalogazione durato anni. Quell'affresco (insieme ad altri dettagli) è la testimonianza di quel lavoro. Davvero incredibile! Ah credo che per la decima volta incrocio una coppia di tedeschi, marito e moglie: per la decima volta in un paio di giorni loro mi dicono qualcosa in tedesco, io non capisco una singola parola, rispondo con qualche frase in inglese che evidentemente nemmeno loro capiscono, ridiamo entrambi e ripartiamo... E' bello anche non capirsi a volte!
La seconda parte della tappa è stata forse quella che mi è piaciuta di meno: il motivo è un mix di fattori. In primo luogo è stato tutto un fermarsi (ho passato mezz’ora sotto la pensilina di un autobus) per lasciare che le nuvole grigie scaricassero il loro contenuto di pioggia e un "andare a cannone" per rimanere davanti al temporale successivo. In seconda battuta questa parte è quella che, da un punto di vista di panorami, ha forse meno da offrire: ho pedalato in mezzo ai campi per non so quanto tempo. Infiniti rettilinei per andare da un campo all’altro, da un paesino fatto di 3 case ad un altro. Infine, la tracciatura qui lascia un po’ a desiderare: la ciclabile cambia inspiegabilmente nome più volte e i cartelli, in un comune disposti ogni 50 metri, nel comune successivo spariscono completamente obbligando a tenere costantemente sott'occhio la mappa.
A tutto questo si aggiunge il fatto che a 10km dal traguardo, dopo aver passato il pomeriggio con il radar meteo costantemente aperto per evitare i temporali uno mi si forma sopra la testa… Secchiata d’acqua (qualche chicco di grandine compreso gratis nell’offerta) e meno di 5 minuti per avere la conferma che anche le ossa sono ormai certificate IP69 per quanto riguarda l'impermeabilità.
Con l’arrivo a Udine non ho più voluto saperne di uscire sotto la pioggia a vedere la città: dopo essermi asciugato e aver fatto la doccia l’unico cosa rimasta sulla lista delle cose da fare è stato è stato mangiare un piatto di spaghetti al ragù, con la richiesta esplicita "abbondanti se possibile, grazie”
Oggi la giornata inizia con una visita al centro di Udine: molto carina Piazza Libertà; non è difficile fantasticare e pensare di essere a Venezia, manca giusto il campanile di San Marco e i rumori dei canali. Piacevole anche la vista dal castello, un’ultima possibilità per vedere le montagne da cui sono arrivato e la pianura che mi resta da coprire.
Dopo aver girellato un po’ senza una meta particolare arriva il momento di cominciare a pedalare per l’ultima volta: direzione Palmanova. Prima di raggiungere questa cittadina dalla geometria molto particolare (l’intera cittadina ha una pianta di una stella a 9 punte con al centro una grande piazza esagonale e tre porte monumentali d’accesso) ad un certo punto resto colpito dall’assoluto silenzio che sento percorrendo una stradina di campagna, non molto diversa da una di quelle che ieri sembrava non finire mai. Come cambiano le cose con il sole: quello che ieri mi sembrava noioso oggi merita uno stop. Fermarsi in mezzo alla strada per apprezzare il silenzio assoluto e ammirare un rettilineo che procede davanti e dietro di me senza vederne la fine: sarebbe bello avere sempre questa capacità di notare e apprezzare la bellezza.
Dopo un breve stop a Palmanova riparto alla volta di Aquileia, ma a colpirmi davvero è il piccolo borgo di Strassoldo: non che ci sia nulla di incredibile da vedere ma è un piccolo borgo davvero grazioso e che merita almeno qualche minuto per una visita e per fermarmi a fotografare un gatto che dorme placido sui gradini di casa.
Ad Aquileia ci arrivo dopo poco: vedo alcuni resti romani fuori dal paese in fase di restauro: l’idea iniziale era di fermarmi a dare un’occhiata ma ormai sento che il mare è vicino e la voglia di vederlo supera quella di fermarsi, i resti romani li visiterò la prossima volta.
Grado ormai è vicina, inconsapevolmente aumento il ritmo delle pedalate, la velocità. Sento che la vista del mare me la sono guadagnata, sono curioso di vedere la mia reazione alla vista della costa. Finalmente arrivo al ponte che attraversa la laguna di Grado, sento di essere arrivato, le mani vanno da sole sul casco, quasi a sottolineare un senso di incredulità che non pensavo di provare. Sono arrivato davvero! Sono partito quasi al confine con la Germania e sono arrivato sull’Adriatico!
Finito il ponte manca davvero poco alla fine della ciclabile, forse un kilometro. Ma so anche che il finale è tutto tranne che scenografico: la ciclabile finisce in una rotonda, nemmeno una rotonda di quelle belle ad essere sinceri. Ma va bene così e va bene anche che a meno di 60 secondi dall’arrivo cominci a piovere: è bello pensare che anche la pioggia, in un certo senso anche lei compagna di viaggio, abbia voluto festeggiare il raggiungimento di questo traguardo.
E’ stata un’avventura, sicuramente non estrema o di quelle su cui scrivere un libro, ma è stato bello viverla!